degli alterati sensi



in questa area 
i temi
della parola inedita, del gesto inesausto, del suono inaudito, della cecità  rivelatrice, 
tra invenzione e metodo, tra crisi e utopia






soglia prima



febbraio- maggio  2012








saturi di soluzioni,
orfani di problemi



l'arte della soluzione e il problema dell'arte



artista e' soltanto chi sa fare della soluzione un enigma.
(Karl Kraus)




nel rapporto tra soluzione e problema s’avverte da sempre l’attitudine della prima a liquidare il secondo, nel senso proprio e radicitoso (radice ‘li-‘ dalla più remota ‘ri-‘ dove ‘l’ e ‘r’ sono consonanti entrambe appunto ‘scorrevoli’ o ‘liquide’) di sciogliere, scorrendo fino alla dissoluzione, ma anche in quello acquisito e pragmatico di svendere sottocosto
quel che si rarefà ad ogni livello progressivo di astrazione o di funzionalità, è il versante interrogativo che, nell’esperienza dell’ ‘essere’ o ‘avere’ un problema, stenta a sopravvivere, già indebolito e per necessità mimetico, ad ogni accanimento dispersivo o riduttivo,
πρόβλημα (próblēma) "sporgenza.. ostacolo", dal verbo προβάλλω (probállō) , dal prefisso προ- (pro-) "innanzi" + βάλλω (bállo) " gettare", ha a che fare con un’ idea di ulteriorità che tiene insieme l’esperienza enigmatica, mai del tutto prevedibile e prevenibile, e quella progettuale, mai definitivamente programmabile

in entrambe le dimensioni, enigmatica e progettuale, il problema custodisce e ri-vela una prossimità con l’idea di ‘mancanza’, della quale si può avere una rappresentazione e un vissuto di censura e mutilazione, ma anche di potenzialità e di meraviglia

nella ‘mancanza’ si esercita anzi la ‘capacità negativa’ come ‘esser-ci’ senza l’impazienza di ricorrere a sistemi di certezze e consuetudini, al riparo dei quali adeguarsi al senso comune , che come già il Manzoni sapeva è spesso nemico del buonsenso ('il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune')
 
allora anche nell’incontro con l’arte, la percezione e la rappresentazione dell’oggetto-prodotto artistico non si esauriscono nell’accesso e nella fruizione, per quanto colta o per contro ingenua, e nemmeno nella presunta  naturalità del suo godimento in quanto presentato e riconosciuto come ‘opera d’arte’

la supposizione o il consenso che lo propongono tale, la valutazione di mercato che così lo (ap)prezza , non costituiscono un pregiudizio assoluto, nè obbligano ad una comprensione definitiva

piuttosto, la circostanza che l’attrattività esercitata dall’evento sensoriale, concettuale e contestuale dell’incontro con l’opera d’arte nell’ordine dei canoni e dei postulati, nei modi rassicuranti dell’abitudine e del conformismo, si possa costituire come eventuale soluzione estetica, non esclude l’opportunità che la stessa sia esposta al rischio di quello che altrimenti possiamo intendere come conflitto estetico

un’educazione al conflitto diviene allora un’esigenza primaria per acquisire la capacità di sostare nella mancanza di una risposta totale e saturante, di cogliere nell’ambiguità l’occasione per una co-operar-azione trans-formativa

questa alternativa comprende comunque un effetto solutorio (ma non solubile!) anche e soprattutto nella generazione di una criticità emotiva, cognitiva e di contesto

κρίσις (krìsis) è infatti quando e come il travaglio del processo si scioglie nell’atto della sentenza evocando del verbo κρίνω (krino) (separare, distinguere) il significato anche deli decidere e giudicare

nel tempo stesso che all’accezione corrente e corriva del termine, ‘crisi’ corrisponde una rottura minacciosa di equilibri consolidati, lo stesso termine evoca anche un’ accezione alternativa che vincola e invita ad un lavoro su limite, così da alludere alla trasformazione dei confini in soglie

la risposta alla domanda perpetua ‘e che cos’è questo?’,che ci attenda nella scenografia museale o nella catalogazione bibliotecale, che ci approssimi nella profusione da libreria o nella serialità del multiplo, non è saturata da nessuna teoria legittimante o classifica consumistica, e non è esente una volta per tutte dalla problematizzazione dell’ovvio che ognuno può ancora osare (la produzione locale di critica di Foucault)

l’invisibile e l’inaudito non si concedono a soluzioni ‘pret a porter’ e ‘on supply’, e anzi si generano nell’incompletezza  di un approccio che non si accontenti di giudizi istituiti e di scelte egemoniche e sappia/voglia sostare nell’intercampo della ‘crisi’, che ogni incontro con l’arte apre tra tentazione di s-piegazione e in-plicazione patica, fino a che l’arte sia a stessa problema, in-finito e s-terminato

“Io dico: un fiore! E dall’oblio nel quale la mia voce esilia ogni forma, in quanto diversa dalle corolle note, sorge musicalmente, idea pura e soave, il fiore che manca ad ogni mazzo” (S.Mallarmè)

nell’esperienza (est)etica, non più soluzione e perfino conflitto, un’emergenza etica, ma anche una urgenza antropologica e un progetto sociale

una narrazione che transiti da un mitema (Eros, figlio di Penia (mancanza) e Poros (passaggio)) ad una storia Altra, può, sul crinale dell’ambiguità che discreziona ciò che connette, trans-gredire esiti scontati e trans-ferire l’esperienza (est)etica da nicchie private di compiacimento a spazi pubblici di piacere del cambiamento, già nell’immaginazione

bisogna immaginare le cose cambiate perché il cambiamento sia possibile, scorgendo orizzonti interstiziali e operando cesure eleganti, che siano allora  organizzatori di pensiero e di pratiche anche e soprattutto innervando d’mmaginazione lo stare al mondo e sovvertendo nel cambiamento la sua frequentazione strumentale

l’immaginazione al potere…?


chipera







un video di Accademia d'Artefutura da Marika Famà








































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