in questa area
i temi della differenza di genere a proposto
del corpo e dei corpi, dei miti e dei riti,della paura e del desiderio, della cura e del potere
di Paola Zaretti ^
parole soglia:
soglia prima
febbraio- maggio 2012
saturi di soluzioni,
orfani di problemi
fame di donne che muoiono di fame: esiste una soluzione ?
di Paola Zaretti ^
parole soglia:
Ci voleva il libro di Michela
Marzano a farmi ritornare con rinnovato vigore e convinzione sul rapporto fra
psicanalisi e femminismo.
Vorrei farlo, stavolta, prendendo in considerazione
un fenomeno recente che ha tutta l’aria di essere parte fondante di un progetto
psicanalitico megalomanico-espansionistico in grande stile, finalizzato a un agganciamento
strategico, da parte di un gruppo di psicanalisti “lacaniani”, di relazioni
neo-fiduciarie con alcune realtà del femminismo nazionale - relazioni
sino a qualche tempo fa inesistenti per essere state, in passato,
bellicosamente consumate.
Credo che su tale fenomeno sia
opportuno meditare e mantenere - come donne, come filosofe e teoriche del
femminismo di antica e nuova generazione, come psicanaliste che guardano con
speranza a una “psicanalisi dell’avvenire” ispirata, nella teoria come
nella pratica, al “pensiero della differenza” di Irigaray - uno
sguardo attento, un atteggiamento critico, una sana prudenza e persino una
salutare diffidenza.
La cautela è d’obbligo trattandosi,
nella fattispecie, di un gigantesca operazione di marketing messa in
atto da alcuni psicanalisti “lacaniani”, che fa capo a un programma tutt’altro
che marginale, a una “rete associativa” che ha esteso in pochi anni la propria
massiccia presenza in 14 regioni italiane e che pare ora fortemente
intenzionato a proseguire la sua corsa indirizzando la propria s-manìa
espansionistico-colonizzatrice verso ambiti territoriali più appetitosi e più
specificamente caratterizzati: si va da alcuni Luoghi tradizionali di
teorizzazione e di pratica politica femminista ispirati al “pensiero della
differenza” di Irigaray, alle Associazioni femminili e femministe impegnate, a
diverso titolo, contro la violenza e sulle politiche di genere.
Si tratta, a ben vedere, da parte
dei promotori di questo commercio d’anime, di tentativi di
infiltrazione-penetrazione finalizzati alla conquista, al controllo e alla
progressiva annessione di quei territori femminili e femministi da sempre
“resistenti” - e per delle buone ragioni - alla psicanalisi, di quei “Luoghi
del femminile” per nascita e tradizione, quanto mai ambiti da “curatori” di
femmine che sulle donne e sulle loro “patologie” hanno sempre puntato per la
costruzione di notorietà e fortuna. Inutile aggiungere che l’evidente
aspirazione a stabilire relazioni privilegiate con la rete delle istituzioni
tradizionali (scuole, ospedali, comunità terapeutiche, centri sociali,
associazioni culturali) obbedisce a una precisa strategia finalizzata alla
ricerca di un formidabile contenitore istituzionale a garanzia della
realizzazione di detto programma e della sua possibile diffusione.
Che cosa vuole questa psicanalisi
dalle donne, dal femminismo, quando, attraverso dei novelli “maestri” - formati
a una Scuola antifemmina per eccellenza che ha cacciato Irigaray “per
mancata fedeltà a un solo discorso”- si mostra tanto interessata ai temi di un
femminismo da sempre guardato di sbieco, con disprezzo e alterigia, da sempre
irriso e/o ignorato e pur tuttavia sfruttato?
Che cosa va cercando questa
psicanalisi - definitivamente cancellata dal vocabolario non senza la
responsabilità di certi sedicenti “rivoluzionari”, e ormai declassata al rango
di “terapia”- allorchè, in una fase di penuria di richieste di cura, si dà visibilmente
da fare per in-sediarsi in spazi simbolici consolidati, tradizionalmente
fondati e abitati da Comunità di donne nate e cresciute a partire dal “pensiero
della differenza” di Irigaray?
Che significato dare alla “mossa”
messa in atto da questi psicanalisti “femministi” disposti, pur di assicurarsi
una nuova credibilità, a sbattere in prima pagina le donne, proprio nel preciso
momento storico in cui le donne, dopo anni di invisibilità, si stanno
riappropriando di quella vitalità presente nel movimento femminista degli anni
’70 che ha finito per piegare molte di loro - intenzionate a portare un’altra
psicanalisi “dentro la politica” - a iniziare percorsi che hanno finito per
allontanarle dalla politica?
Quali sono le finalità di questa
“mossa”? E, quel che più conta, per quale incomprensibile-inconfessabile
ragione questa “mossa” - che pure dovrebbe, ragionevolmente, dar da pensare -
viene accolta, senza alcuna resistenza, da quelle filosofe femministe che hanno
fatto del pensiero di Irigary la loro bandiera e che hanno costruito, su questo
pensiero, la loro pratica etica e politica?
Sono più d’uno gli eventi che
testimoniano di questa nuovo orizzonte di connivenza fra una psicanalisi
reazionaria di vecchio stampo androcentrico, patriarcale, hegheliano, e un
femminismo debitore al “pensiero della differenza” e non è facile stabilire se
tale complicità sia imputabile a una conoscenza approssimativa e insufficiente
dei testi lacaniani o a un irriducibile bisogno di Padri o, com’è più
probabile, a entrambe. Ma a facilitare questa spinta in una direzione
altrimenti incomprensibile, c’è soprattutto dell’altro.
C’è che non sono mai nati in Italia,
ad opera di psicanaliste donne, dei Luoghi simbolici finalizzati alla
promozione e alla trasmissione di una psicanalisi “di genere” ispirata al
“pensiero delle differenza” di Irigaray. C’è che in Italia l’eredità di
Irigaray, completamente ignorata dalle psicanaliste cui era soprattutto
rivolta, è stata raccolta dalle filosofe con conseguenze tutt’altro che
irrilevanti. C’è che una psicanalisi sessualmente differenziata, una
psicanalisi di genere, in Italia non esiste essendo le “scuole di
formazione” in mano a uomini.
A farci ritrovare la strada, è una
scossa. Ci giunge dal libro di Michela Marzano Volevo essere una farfalla,
in cui l’autrice - che ha trovato il coraggio di descrivere in dettaglio la sua
straziante esperienza anoressica - pur avendo beneficiato della psicanalisi,
mostra tuttavia di essere molto bene informata e decisamente critica sulle
“dottrine”, sulle parole d’ordine e sugli slogan messi in circolazione e
divulgati in questi anni sull’anoressia da qualche sedicente “rivoluzionario”
della psicanalisi. Le parole, taglienti, di Marzano e i suoi precisi
riferimenti a un certo formulario psicanalitico ossessivamente e ritualmente
ripetuto, non lasciano dubbi sullo sventurato psicanalista preso di mira:
Dicono che oggi non esistono più
regole. Che la nostra epoca è caratterizzata dalla gadgettizzazione della
vita e dl culto narcisistico dell’io. Che l’inconscio è in via di sparizione
(…).Che siamo invasi dal discorso capitalistico e dal consumismo (…) che tutto
è oggetto di godimento…Che si dovrebbe riscoprire il “nome del padre”. Sì,
certo, Tutto vero. Ma anche terribilmente falso (…). Fino a quando si tenterà
di spiegare l’anoressia utilizzando solo le categorie analitiche tradizionali,
non si capirà proprio nulla (…). Sempre meglio le categorie analitiche
tradizionali, comunque, che certe nuove teorie “rivoluzionarie” che si stanno
diffondendo in questi ultimi anni…il soggetto senza inconscio, la clinica del
vuoto, le nuove forme del sintomo…e che più ne ha più ne metta…Fino a far
passare le “anoressiche” per delle manipolatrici perverse, che farebbero di
tutto per gettare l’altro nella disperazione e diventare la causa della sua
angoscia…Allora basta! Basta con i luoghi comuni, le banalità, le
generalizzazioni, le ricette “usa e getta” per vendere libri e illudere chi sta
male. Basta con questa storia del “corpo feticcio”, del “rifiuto della
femminilità”, del “rapporto simbiotico con la madre”…No, il corpo magro non è
un segno identificatorio feticizzato. No, l’anoressica non nega l’altro perché
sia fatta la volontà dell’io. No, nell’anoressia non ci si ribella all’ideale
femminile che la madre avrebbe voluto realizzare. No, non è un modo per
angosciare in maniera perversa gli altri, per ricattarli, per far loro del
male. Oppure sì, forse, anche, talvolta, dipende (…). Ma perché attaccarsi a
questo maledetto sintomo e cercare a tutti i costi di far entrare tutte coloro
che ne soffrono nello stesso schema? Perché non ascoltare quello che ognuno
dice, cerca, rivendica, supplica?
Basta…basta! - scrive Michela Marzano - che ringrazio per aver
illuminato con uno sguardo diverso, certe teorie e pratiche di cura dell’anoressia
di cui i ghetti anoressici, promossi con i gruppi “monosintomatici, sono
stati e sono - se ancora esistono - un tetro, lugubre esemplare. La ringrazio,
ancora, e di cuore, per avermi fatta sentire meno sola nell’andare avanti nel
mio progetto, per aver trasmesso nuove energie alla mia non più solitaria
impresa di costruzione di Luoghi simbolici di formazione - prima che
psicanalitica, umana - al cui centro sta ”il pensiero della differenza” di Irigaray
con gli effetti innovativi e decostruttivi che questa nuova centralità comporta
sia rispetto alla “dottrina” psicanalitica che alla formazione e alla cura di
donne e uomini
^ Filosofa e Psicanalista, fondatrice di Oikos-bios Centro filosofico di Psicanalisi di Genere Antiviolenza
^ Filosofa e Psicanalista, fondatrice di Oikos-bios Centro filosofico di Psicanalisi di Genere Antiviolenza
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