in questa area
i temi
dello
spazio e del luogo, del centro e del margine, del locale e del globale
tra sociologia, geografia, architettura, urbanistica, semiotica
gli oppressi
saturi di soluzioni,
orfani di problemi
un problema per la soluzione 'sicurezza'
orfani di problemi
un problema per la soluzione 'sicurezza'
gli oppressi
sono oppressi e tranquilli, gli oppressori tranquilli
parlano nei telefoni, l’odio è cortese, io stesso
credo di non sapere più di chi è la colpa
Franco Fortini
parlano nei telefoni, l’odio è cortese, io stesso
credo di non sapere più di chi è la colpa
Franco Fortini
sicurezza…’sine
cura’, certo, ma, allora: senza premura o senza inquietudine?
su
questo crinale si gioca l’alternativa tra una cittadinanza consapevole e
competente ed una sudditanza
irresponsabile e inabilitante, ma si è giocati anche dall’ambivalenza dei versi opposti che s'affilano a vicenda: garantire l’assenza d’inquietudine può generare
l’assenza di premura, anzi prevederla come condizione
la
sollecitazione insistita alla paura
quale premessa per un baratto sostenibile tra garanzie di sicurezza e margini
di libertà, le prescrizioni e gli addestramenti alla prevenzione del rischio
quale suggestione a non osare e nemmeno immaginare turbative dell’esistente,
giustificano e incoraggiano rattrappimenti individualistici, lambiccamentii
utilitaristici, inerzie opportunistiche
si
consolida un patto di mutuo accomodamento al riparo del quale prospera la
mediocrità e si consolida un’ ipotesi autoritaria di controllo sociale diffuso,
anche attraverso al’autocensura
il conformismo in cambio dell’immunità e forse
dell’impunità come già delle ‘sinecure’ ecclesiatiche
la
naturalizzazione del dato a sostegno di una cosmologia ineffabile dell’evidenza
come illuminazione meridiana che cancella l'ombra e con quella le realtà che per essa si danno
la pretesa predittiva e preventiva di anticipare l’evento configura la sua delega
a logiche e pratiche d’agenzia che nella pretestuosità degli specialismi e
nella presunzione moralistica rinvengono ragioni per il disimpegno e
l’irresponsabilità personale, istituzionale, sociale
ciò che è precluso è il problema, per i qual non abbiamo
nemmeno più parole, né da dire né da ascoltare
ciò che più è temuta è l’azione, non l’agito, che anzi
il ‘fare’ irriflessivo si propone, si dispone, s’impone come alibi confortevole
per surrogare nell’affaccendamento l'obliterazione della meraviglia
nel recinto che scambiamo per il mondo, al quale
dedichiamo sguardi magari (!) distratti, invece (ahinoi) incuranti, ci aggiriamo saturi d'inclusione, reclusi nella strana ‘libertà di’ che ci è concessa tra
proliferanti confini interstiziali che ci attraversano, ci disperdono in
repliche seriali d’identità che immaginiamo ognuna esclusiva solo perché non
accede alla consapevolezza degli identico e al disagio dei multiplo
nel fra-tempo e nell’inter-spazio si cumulano
calendari e mappe inservibili, che ci direbbero di storie e cammini familiari
se solo ne avessimo curiosità, mentre
l’incorporeità mediatica contarabbanda l’attivismo (nick)nominalistico per comunione di vite, sempre seconde a
quelle prime di cui non c’è ormai esperienza
nell’euforia
del 'come se' dimentichiamo, anzi ostentiamo 'sinecura' per possibilità che un’azione di cura sia sempre a partire da una educazione alla curiosità, antidoto ad ogni dipendenza securitaria, ad ogni insicurezza panica
una positura obsoleta e antieconomica di enigma e presagio della quale, nella quale, lo ammetto, trovo sempre più spesso e mai abbastanza la ragione ultima d'essere altrimenti, nonostante
chipera
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