di ogni dove in altrove




  in questa area 
i temi 
dello spazio e del luogo, del centro e del margine, del locale e del globale 
tra sociologia, geografia, architettura, urbanistica, semiotica






soglia prima



febbraio- maggio  2012






saturi di soluzioni,
orfani di problemi




  


un problema per la soluzione 'sicurezza'

gli oppressi
    sono oppressi e tranquilli, gli oppressori tranquilli
    parlano nei telefoni, l’odio è cortese, io stesso
    credo di non sapere più di chi è la colpa


Franco Fortini




sicurezza…’sine cura’, certo, ma, allora: senza premura o senza inquietudine?

su questo crinale si gioca l’alternativa tra una cittadinanza consapevole e competente ed  una sudditanza irresponsabile e inabilitante, ma si è giocati anche dall’ambivalenza dei versi opposti che s'affilano a vicenda: garantire l’assenza d’inquietudine può generare  l’assenza di premura, anzi  prevederla come condizione 

la sollecitazione  insistita alla paura quale premessa per un baratto sostenibile tra garanzie di sicurezza e margini di libertà, le prescrizioni e gli addestramenti alla prevenzione del rischio quale suggestione a non osare e nemmeno immaginare turbative dell’esistente, giustificano e incoraggiano rattrappimenti individualistici, lambiccamentii utilitaristici,  inerzie opportunistiche

si consolida un patto di mutuo accomodamento al riparo del quale prospera la mediocrità e si consolida un’ ipotesi autoritaria di controllo sociale diffuso, anche attraverso al’autocensura

il conformismo in cambio dell’immunità e forse dell’impunità come già delle ‘sinecure’ ecclesiatiche

la naturalizzazione del dato a sostegno di una cosmologia ineffabile dell’evidenza come illuminazione meridiana che cancella l'ombra e con quella le realtà che per essa si danno 


la pretesa predittiva e preventiva di anticipare l’evento configura la sua delega a logiche e pratiche d’agenzia che nella pretestuosità degli specialismi e nella presunzione moralistica rinvengono ragioni per il disimpegno e l’irresponsabilità personale, istituzionale, sociale

ciò che è precluso è il problema, per i qual non abbiamo nemmeno più parole, né da dire né da ascoltare

ciò che più è temuta è l’azione, non l’agito, che anzi il ‘fare’ irriflessivo si propone, si dispone, s’impone come alibi confortevole per surrogare nell’affaccendamento l'obliterazione della meraviglia
 
nel recinto che scambiamo per il mondo, al quale dedichiamo sguardi magari (!) distratti, invece (ahinoi) incuranti, ci aggiriamo saturi d'inclusione, reclusi nella strana ‘libertà di’ che ci è concessa tra proliferanti confini interstiziali che ci attraversano, ci disperdono in repliche seriali d’identità che immaginiamo ognuna esclusiva solo perché non accede alla consapevolezza degli identico e al disagio dei multiplo

 nel fra-tempo e nell’inter-spazio si cumulano calendari e mappe inservibili, che ci direbbero di storie e cammini familiari se solo ne avessimo curiosità,  mentre l’incorporeità mediatica contarabbanda l’attivismo (nick)nominalistico  per comunione di vite, sempre seconde a quelle prime di cui non c’è ormai esperienza

nell’euforia del 'come se' dimentichiamo, anzi ostentiamo 'sinecura' per possibilità che un’azione di cura sia sempre a partire da una educazione alla curiosità,  antidoto ad ogni dipendenza securitaria, ad ogni insicurezza panica

una positura obsoleta e antieconomica di enigma e presagio della quale, nella quale, lo ammetto, trovo sempre più spesso e mai abbastanza la ragione ultima d'essere altrimenti, nonostante

chipera

  











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