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plurale..della dis-identità..dell’alterità..dell’alienità
tra antropologia, filosofia, sociologia, psicopatologia, salute
mentale di comunità
resistente s'annuncia il senso
soglia prima
febbraio - maggio 2012
saturi di soluzioni,
orfani di problemi
resistente s'annuncia il senso
Un problema non esiste al di fuori delle soluzioni che gli sono proprie.
Ma lungi dal dissolversi, il problema
persiste nelle soluzioni che lo ammantano.
Un problema si determina
contemporaneamente alla sua soluzione; ma la determinazione del problema
non si confonde con la soluzione:
i due elementi differiscono per
natura e la determinazione è come la genesi della soluzione
concomitante
(Gilles Deleuze)
s-materializzati e de-territorializzati, significati in forma
di meteore dardeggiano naturalmente indifferenti, sospinte da folate siccose di
egoismo e con tragitti sciallati che fole non sanno, sugli spazi e i tempi già contratti della nostra
quotidianità appartata
poi con leggerezza greve s’accomodano d’un tratto nella pausa
minima di un recinto senz’accesso, nel diastema impercettibile tra una certezza
e un pregiudizio , affastellati uno sull’altro a satollare fino al troppo pieno
il rischio vertiginoso della curiosità
già inabilitati alla mancanza e bardati di protesi e ortèsi, accomodiamo
allora il disagio preventivo per l’orrido che ogni soluzione di continuità minaccia, in un
sentimento di pienezza e di consistenza che esclude l’attesa e la speranza, che
ormai non c’è scarto alcuno che solleciti lo sguardo alla meraviglia e l’ascolto
al silenzio., e nemmeno ci s’accorge che con occhi e orecchie piene d’ogni
frammento di tutto, sono solo voci di dentro e multipli pixelati a comporre il
discorso e il paesaggio
ai margini di quest’ avviluppo conforme fino al conformismo
dell’anticonformismo e iperadattato fino alla corrispondenza con il nome che
non scelsero mai, insistono però alterità resistenti ad ogni omologazione e irriducibili
ad ogni patologizzazione, e sono
abitanti del centro plurale e prolisso che ogni periferia è, nonostante il suo
essere all’apparenza liminare, seppure a loro ancora sia precluso l’essere almeno
una moltitudine
in quei luoghi, più luoghi di ogni spazio legittimato e
normato perfino nella sua alienità superstite, si distillano saperi estremi e
stremati che recano l’enigma profetico in ogni piega di parole e in ogni piaga
di corpi
noi, assorti nel rumore di fondo della nostra informazione totosmodata
e totolottomatizzati alla vincita obbligata non abbiano memoria né intenzione
che ospitino il senso che in quei saperi eccede ogni significato possibile o
residuo, fintantoché l’annuncio della nostra vulnerabilità ci raggiunge là dove
mai l’avremmo supposto, al vertice proprio dell’ultimo gesto imperiale di
bontà, quando alla nostra offerta di prossimità sodale, per il quale nutrivamo
pretesa di rinunciare al conforto del
senso comune, il più domestico dei
beneficiati ci ri-vela il senso del suo
preteso nonsenso con il buonsenso più inconciliabile che sia dato reperire
nella più alternativa delle nostre pratiche
accade allora che sia posta l’ipotesi obsoleta della
sovversione di noi stessi, e che i
significati sedimentati si scollino dalla presa vischiosa delle faglie che
saturano fino all’orlo mimetico del loro moto originario
nell’inciampo e nel suo dolore la prospettiva s’inverte e le
piante dei nostri piedi toccano il cielo, mentre a capofitto ci radichiamo infine
nel finisterrae dove ci condusse la resistenza che altri oppose all’unico senso
che ci dotò di nostra presunzione e di nostro pretesto
chipera
Inversioni.
RispondiEliminaSaturi di problemi, orfani di soluzioni.
"I problemi grandi e importanti della vita sono tutti insolubili e non potrebbero non esserlo" (Carl Gustav Jung) e spesso non resta "che contemplarli fissamente, instancabilmente, per anni, senza nessuna speranza, nell’attesa" (Simone Weil); e questo non è "un semplice riconoscere il limite [...], ma è un viverlo come l’unica possibile esperienza della trascendenza [...]: la consapevolezza del limite è, ad un tempo, la fine e l’inizio del filosofare, il riconoscimento della sua inadeguatezza ma anche della sua più autentica espressione" (Simone Weil).